L'inizio della vita umana tra realtà e posizioni culturali utilitaristiche: intervengono filosofi, teologi e biologi
Eppure sembra un uomo

Di Giovanni Pellegri



ABC DELLA VITA NASCENTE

Gamete: cellula sessuale maschile o femminile. Quella maschile (spermatozoo) si unisce con quella femminile (cellula uovo) nel corso del processo della fecondazione:dare origine ad una nuovo organismo.
Zigote: è il frutto dell'unione di due gameti maschile e femminile. È l'inizio di una nuova vita.
Pre embrione (o proembrione): secondo alcuni il momento dello sviluppo dell'embrione, in cui si ha una struttura corporea tale che rappresenti l'inizio di un nuovo individuo umano, è quello che corrisponde allo stadio di 14 giorni dopo la fecondazione. Introducendo una nuova terminologia queste persone parlano quindi di pre embrione per distinguere i primi 14 giorni di sviluppo e di embrione per caratterizzare le fasi successive.
Embrione: nella biologia animale ed umana indica un organismo nelle fase iniziali di sviluppo. Nel mondo scientifico si parla di embrione dalla formazione dello zigote. La maggior parte delle pubblicazioni scientifiche non prende quindi in considerazione la terminologia di pre-embrione.
Feto: individuo umano in fase di sviluppo dalla nona settimana dopo la fecondazione alla nascita.


Quando comincia un uomo? Nei hanno discusso biologi, teologi, filosofi lo scorso 16 maggio al Centro Pastorale Paolo VI a Milano. II dibattito sullo statuto dell'embrione umano, già molto vivace in altri Paesi è approdato indirettamente anche in Svizzera col recente dibattito in parlamento sulle tecniche di procreazione artificiale, rimettendo sul tavolo la questione dell'inizio della vita umana.
In breve e molto sommariamente si può dire che due differenti posizioni animano oggi il dibattito: per alcuni l'individuo umano comincia alla fecondazione, cioè nel momento in cui le due cellule sessuali maschili e femminili si uniscono per formare una sola cellula, dando avvio ad un processo continuo, graduale e coordinato che porta allo sviluppo di un nuovo organismo. Per altri, invece, si può parlare di individuo umano solo a partire dal 14° giorno di sviluppo, cioè nel momento in cui appare una determinata struttura biologica e l'embrione non può più dare origine, per scissione, a gemelli. I difensori di questa teoria parlano di pre embrione per distinguere le fasi precoce di sviluppo dell'organismo umano (i primi 14 giorni). Fatto interessante, Sia i difensori che gli oppositori dei riconoscimento dello statuto di persona dell'embrione precoce proclamano motivazioni scientifiche per dimostrare la veridicità della propria teoria. Ma quando l'uomo diventa un uomo? A prima vista queste distinzioni potrebbero sembrare il risultato di inutili elucubrazioni intellettuali, ma in verità la definizione della natura dell'embrione umano comporta molte implicazioni sia pratiche (si pensi all'aborto, alla sperimentazione sugli embrioni, alle tecniche di fecondazione artificiale), sia antropologiche (che valore diamo alla vita dell'uomo), tanto che prima o poi tutti dovremo, con scelte personali o politiche, dare un valore alla vita umana nascente.

Nel tentativo di creare un sano ed onesto dibattito la Pontificia Accademia per la Vita e il Centro di Bioetica del Sacro Cuore di Milano hanno organizzato un convegno multidisciplinare con la partecipazione di teologi, filosofi e biologi. AI margine di questo congresso Caritas Insieme ha raccolto alcune interviste che vi presentiamo.

D: Alcuni embriologi o filosofi affermano che durante i primi 14 giorni di sviluppo, l'embrione non è un individuo umano ma solo materiale biologico. Non tutti sono d'accordo che l'uomo inizi al suo concepimento, cioè nel momento in cui le cellule sessuali maschili e femminili si incontrano. Cosa pensa lei di queste affermazioni e dell'idea quindi di parlare di pre embrione?
Prof. A. Pessina: La polemica è molto vasta e direi che nasce dall'idea di non assumersi una responsabilità di fronte allo stadio iniziale dell'embrione umano. Faccio un esempio. Nessun biologo direbbe oggi che la fusione dei gameti di due topi non rappresenti la nascita di un topo allo stato embrionale. II paradosso è che l'uomo invece, sembra sorgere chissà quando e comunque in un altro momento. In realtà l'uomo, come tutti i mammiferi, sorge proprio dopo la fusione di questi due gameti. Quindi da questo punto di vista, l'idea di parlare di pre embrione è un'idea per scaricarsi la coscienza di fronte ad un fatto gravissimo. Noi stiamo intervenendo sulle fasi più fragili dell'esistenza di una persona umana, di un essere umano, nelle sue condizioni iniziali. Quindi il concetto di pre-embrione non è biologico, ma politico sociale.

D: Quindi il vero problema è di natura culturale antropologico, non più scientifico.
Prof. A. Pessina: Sì, è un problema culturale. Noi oggi dobbiamo imparare a riconoscere attraverso la mediazione della scienza, che quelle piccole cellule che possiamo vedere attraverso un microscopertine/copio, non sono del materiale biologico, sono già l'inizio di un essere personale che ha una propria vita e che infatti, una volta impiantato nel grembo materno, darà vita ad una persona: Quindi è sicuramente un processo culturale, che sorge, ma per quale motivo? Ma perché l'embrione non è più nel suo luogo naturale spontaneo, nel grembo materno, ma è appunto sottratto al grembo materno ed esposto per un certo lasso di tempo all'indagine della scienza. Noi non possiamo fare all'essere umano le stesse cose che facciamo agli animali. Per certi versi sono più protette le scimmie antropomorfe degli esseri umani stessi. È più facile oggi lavorare su embrioni umani che su embrioni di scimmie antropomorfe. Questo è un paradosso.

D: Forse il paradosso è ancora più forte se pensiamo che mai come oggi la scienza ha potuto scopertine/coprire quali sono i meccanismi della vita e, guarda caso, proprio oggi, l'embrione umano ha i più duri attacchi contro la propria dignità.
Prof. A. Pessina: Oggi la scienza ci ha messo di fronte a una grande responsabilità. Alla responsabilità di considerare l'essere umano in tutte le fasi della sua vita. Fino ad un certo periodo potevamo anche ignorare quando effettivamente sorgeva la vita di una persona. La biologia ci ha consegnato delle grandi conoscenze, ci ha aperto delle grandi possibilità per migliorare la condizione umana, ma rischia di farci pensare all'embrione in termini puramente biologici, in termini puramente di materiale, e questo è gravissimo. L'errore non è tanto della scienza, ma dello scientismo che sta alle spalle della scienza. Uno scientismo a volte funzionale a interessi economici, che fanno perdere di vista la caratteristica propria dell'essere umano, allo stadio embrionale.

D: La Chiesa Cattolica è sola ad affermare la dignità di questo piccolo essere umano. Non solo è isolata, ma anche spesso ignorata. Come può riprendere peso il discorso culturale della Chiesa cattolica?
Prof. A. Pessina: lo per esperienza posso dire questo. Tutte le volte che intervenendo nella società civile si sono esposti in modo corretto i dati della scienza e si è portata la gente a riflettere su questi atti della scienza, ho trovato che le persone, al di là delle loro scelte religiose, delle loro opzioni esistenziali, delle loro impostazioni culturali o politiche, hanno riconosciuto la veridicità della posizione espressa dalla Chiesa. La Chiesa in questo momento sta esponendo delle ragioni che hanno un valore universale. Da questo punto di vista chiunque condivide queste ragioni in qualche modo si fa alleato della battaglia della Chiesa. È una battaglia per l'umanità a cui nessuno deve sottrarsi, specialmente in una civiltà come la nostra che, grazie alla scienza e alla tecnologia, ha grandissime possibilità, ma non deve correre il rischio di nuove forme di barbarie. Una volta i bambini si buttavano dalla rupe, oggi il rischio è che non vedendoli più come bambini, ma solo come cellule, li si usi come materiale biologico. Una civiltà deve crescere nella scienza e nella coscienza e se la società civile è in grado di riappropriarsi di questi concetti, io credo che il discorso, anche della Chiesa, non andrà perso.

D: Cioè mi sta dicendo che la Chiesa non sta utilizzando motivazioni teologiche?
Prof. A. Pessina: Sì, sto dicendo proprio questo. In questo campo le motivazioni teologiche possono arricchire, ampliare, sviluppare, dare una nuova profondità al discorso sull'uomo, ma credo che fondamentalmente questo discorso sia un discorso antropologico, un discorso di ragione, un discorso di filosofia. Fra l'altro io stesso non ho una formazione teologica e non mi occupo specificatamente di teologia, il mio è un lavoro di filosofo che riflette sulla questione bioetica. Con ragioni di questo tipo ci si può confrontare con assoluta libertà e ho trovato moltissime persone che fuori da ogni schieramento hanno riconosciuto queste ragioni. II problema è come questo discorso viene trasmesso attraverso i mass media, i quali, non dimentichiamolo, sono tutt'altro che neutri. È più comodo etichettare una posizione come cattolica, che entrare in merito a una discussione franca e serena su dove sta andando la nostra civiltà.

D: È giusto che le leggi che tutelano l'embrione siano formulate secondo dei principi democratici anche se questi calpestano la dignità dell'uomo?
Prof. M. Cozzoli: Il legislatore non può in questo campo non tener conto
delle premesse di tipo biologico, ontologico, etico. Cioè nel legiferare non può parametrarsi soltanto a criteri di tipo procedurale; del tipo: quello che decide la maggioranza diventa legge per la società. Questo non è possibile perché ci troviamo di fronte ad un valore che è al di qua di ogni regola procedurale e che chiede di essere rispettato. II legislatore nel campo della vita pre natale e della vita nascente, deve legiferare in maniera conforme alla natura dell'embrione, che, ricordiamolo, è persona umana.

"Se non fossero in gioco dei problemi estremamente gravi dal punto di vista pratico, come l'aborto procurato e il problema delle sperimentazioni sugli embrioni e feti umani, nessuno metterebbe in dubbio quello che oggi è un'evidenza per la scienza e cioè che fin dal primo momento si è in presenza di una nuova vita umana personale."


D: Quindi in questo caso non vale il principio della maggioranza?
Prof. M. Cozzoli: Esatto, non vale il principio della maggioranza. Noi sappiamo che il legislatore non può essere chiamato a legiferare sui valori. I valori, i beni fondamentali antecedono il legislatore e ogni suo potere legislativo. Così che il legislatore è normato lui stesso da questi beni fondamentali.

D: Ma se l'embrione precoce è già persona, perché è così difficile che venga riconosciuto? Quali sono gli interessi che entrano in gioco e che a un certo punto diventano così forti da portare alla negazione di questo elementare riconoscimento dell'identità dell'embrione?
Prof. M. Cozzoli: Questa è una domanda abbastanza complessa, per cui meriterebbe una risposta molto articolata. lo faccio riferimento soltanto ad un tipo di risposta che per me è senz'altro la più significativa: la cultura prevalente oggi, non si lascia interpellare in primo luogo da che cosa sia un bene, un valore che mi norma, che mi obbliga, ma si lascia interpellare da questioni di ordine pratico, come per esempio il problema dell'aborto o il problema della sperimentazione su embrioni umani. Sono problemi oggi molto sentiti nella società, ma anche nella comunità scientifica. Piuttosto che partire da valori che ci obbligano, partiamo da problemi che sentiamo vivi, e che preferiamo risolvere in un certo modo. Faccio un esempio, tanto per essere chiaro. Qualche settimana fa alcune persone mi dicevano: "siamo perfettamente consapevoli che è abbastanza ragionevole che la vita cominci con il suo concepimento. Però questo andrebbe a rimettere in gioco la Legge sull'aborto, e questo non è possibile. Quella ormai è una conquista per noi, per la società, per la cultura". Questo è un esempio concreto di come procediamo in maniera metodologicamente scorretta. Abbiamo quindi molte precomprensioni di tipo ideologico. Per cui invece di andare direttamente a vedere come stanno le cose, qual è la realtà, qual è la verità, partiamo da un'altra sponda. Partiamo cioè da quello che desideriamo fare o da quello che temiamo ci sia vietato. E allora facilmente abbiamo adattamenti di tipo ideologico, culturale e persino giornalistico.

D: In tutto questo lei non ha citato una sola volta la parola fede. La fede non c'entra?
Prof. M. Cozzoli:
La fede c'entra, ma non come un principio, un referente di affermazione dogmatica di quelli che sono valori e norme valevoli per tutti. Per il cristiano la fede è un principio di risignificazione, di rimotivazione, idi rifinalizzazione di significati e di norme attinti primariamente e fondamentalmente alla coscienza e dalla intelligenza di ogni uomo. Per cui quello che noi affermiamo come cristiani, lo affermiamo per ogni uomo amante della vita.

D: Quindi fate appello all'intelligenza ed alla ragione?
Prof. M. Cozzoli: Certamente. L'appello è a questo. D'altra parte la fede che cos'è: è una ragione, è un'intelligenza illuminata dal dato rivelato appunto dalla fede. Quindi mai la fede prescinde dalla ragione, tanto più in questo campo in cui "l'input" iniziale non ci è dato da un dato rivelato, ma ci è dato da un bene universale umano, qual è la vita di una persona a cominciare dal suo inizio, dal suo concepimento.

D: Su alcune pubblicazioni scientifiche si è voluto dimostrare (dati alla mano) che l'individuo umano sorge solo dopo 14 giorni di sviluppo. C'è addirittura chi afferma che la Chiesa cattolica, nel campo dell'embriologia rischia di ricadere nell'errore Galileo. Come interpreta queste affermazioni?
Prof. L. Melina:
Credo che qui bisogna fissare un po' la nostra attenzione sulla situazione della scienza oggi, che per un verso è potentissima nei mezzi e per un altro verso è anche implicata in grandi interessi di natura economica. Ora, non va negato, anzi va pienamente valorizzato, il valore conoscitivo della scienza moderna, che attraverso il suo metodo è efficacemente in grado di riconoscere e stabilire i. dati fondamentali circa gli
inizi della vita umana. Ma il suo metodo, che è un metodo fondamentalmente riduttivo, perché tiene conto
solo degli aspetti quantitativi e misurabili, non coglie altri aspetti della realtà, come il riconoscimento della persona come tale, che non compete alla scienza, ma compete alla filosofia. Allora in questo senso, il tenere presente questo aspetto metodologico riduttivo della scienza, ma non in senso negativo, implica l'integrazione con un approccio più completo che è quello della filosofia e del sapere umanistico attorno all'uomo. II tenere presente che ci sono spesso delle connessioni pratiche nella conclusione della scienza, ci permette anche di accogliere tutto il bene che ci viene dalle scienze biologiche e nello stesso tempo di dimensionarlo in un sapere più grande sull'uomo. Questa è la condizione perché queste stesse conoscenze non diventino distruttive dell'uomo e non si rivoltino contro l'uomo stesso. II padre Georges Cottier, teologo della Casa Pontifica, rilevava a questo proposito che, se non fossero in gioco dei problemi estremamente gravi dal punto di vista pratico come l'aborto procurato e il problema delle sperimentazioni sugli embrioni e feti umani, nessuno metterebbe in dubbio quello che oggi è un'evidenza per la scienza e cioè che fin dal primo momento in cui si uniscono i due gameti, maschile e femminile, si è in presenza di una nuova vita umana personale.

"La questione dell'embrione umano non è anzitutto una questione teologica. È una questione di ragione. È una questione che fa appello all'apertura della mente dell'uomo alla realtà"
[Roberto Colombo]

D: La difesa della vita nascente, è un tema che la Chiesa Cattolica ha evidentemente a cuore, ma non partendo unicamente da dati teologici, o mi sbaglio?
Mons. E. Sgreccia: L'impegno di oggi della Chiesa, nel suo dialogo con il mondo, è quello di confrontare rigorosamente e rispettosamente le conclusioni di tutte le scienze interessate ad un determinato problema. Per esempio alla definizione del valore e dell'identità dello statuto dell'embrione umano, è interessata anzitutto la biologia, è interessata la genetica, è interessata la medicina, ma insieme sono interessate la filosofia, il diritto, l'etica. Allora non c'è nessuna scienza che può presumere da sola di dare l'ultima risposta. Questo è un problema pluridisciplinare e deve far nascere un dialogo integrativo di varie scienze, ognuna delle quali deve seguire il suo percorso rigoroso. Ora l'identità dell'embrione umano ha il conforto sia del dato biologico, sia del dato genetico, sia del dato medico nel suo insieme, ma anche conseguentemente e logicamente, se si vuole essere razionali, anche della filosofia, dell'antropologia e quindi il dovere etico del rispetto e quello giuridico del riconoscimento. Non basta conoscere dei dati slegati. Bisogna riconoscere il loro peso, l'interpretazione di carattere razionale che a loro compete. Altrimenti succede che quello che viene propagandato come scienza, anche in riviste che di scientifico si ammantano, sia in definitiva un riduzionismo dal punto di vista scientifico, quindi una falsa scienza, e una ideologia dal punto di vista pratico. Cioè si riducono le conclusioni del loro peso, privandole della portata filosofica ed etica, per raggiungere determinati scopertine/copi cioè legittimare l'aborto, legittimare la fecondazione in vitro e così via discorrendo. Ora il dialogo deve essere chiaro e leale e deve essere corale cioè di tutte le discipline chiamate in causa.

D: Forse il problema nasce quando l'uomo di scienza cerca la dignità della vita umana con il microscopertine/copio?
Mons. E. Sgreccia: Certamente il microscopertine/copio è necessario, ma se mi si consente il paragone, esso non basta per dare il debito valore all'embrione e nemmeno le differenze di valore. Per esempio tra l'embrione di un topo e quello di un uomo, c'è una differenza. Dal punto di vista del microscopertine/copio questa differenza potrebbe non risultare nelle prime fasi, o per lo meno non risulta molto spesso. I procedimenti conoscitivi sono gli stessi. E allora, bisogna che dentro il microscopertine/copio ci sia un occhio, ma dentro l'occhio ci sia una mente, una ragione e dentro la mente e la ragione ci sia anche una coscienza che non si chiude al riconoscimento di ciò che grandioso promana da questo esame.

D: Lei ha un doppio ruolo, essendo un uomo di scienza ma anche un sacerdote. Ci può dire quindi: ma questa vita, tanto discussa, inizia o non inizia al concepimento?
Prof. R. Colombo: Se noi leggiamo con attenzione i dati che ci sono offerti dalla più aggiornata letteratura scientifica, possiamo cogliere come ci siano delle esperienze incontrovertibili. Il processo che dà avvio alla vita di un nuovo organismo, attraverso il quale tutti noi siamo nati, è il processo della fecondazione. Dopo di che prende avvio lo sviluppo che durerà i nove mesi prima della nascita e ancora per mesi e anni dopo la nascita. Si tratta di un processo continuo. Il volervi rinvenire delle discontinuità contraddice la sempre crescente evidenza offerta dalla genetica, dalla biologia dello sviluppo, dalla citologia. Se prendiamo in mano i testi adottati nelle facoltà universitarie, in Italia, in Svizzera, in Europa, negli Stati Uniti, troviamo che l'inizio della vita di un organismo, di un mammifero, dello stesso uomo, prende avvio in quelle 24/30 ore, che è la durata del processo di fecondazione e ancora piû precisamente quando si fondono le membrane dei due gameti e da due cellule otteniamo un'unica cellula che viene riprogrammata per organizzare tutto lo sviluppo, tutta l'architettura del corpo del nuovo organismo

D: La disputa però non è tanto se prima cellula formatasi è già persona umana. A chi spetta rispondere a questa domanda? All'embriologia, alla filosofia o alla teologia?
Prof. R. Colombo: La persona è un concetto che appartiene al camp della filosofia e della teologia, ma trattandosi di una persona umana, dotato di un corpo e non solo di uno spirito non possiamo non fare riferimento a dati della biologia e della medicina quali solo ci offrono la possibilità di ri conoscere qual è il processo fisica mente constatabile, empiricament accettabile attraverso il quale prende avvio l'essere umano. Come è possibile che i primissimi stati di svilupp di un essere umano, non sarebbero quelli di una persona umana. Così si è interrogato il Santo Padre scrivendo l'enciclica Evangelium Vitae, così ogni uomo di buona volontà usando la sua ragione, non può non chiedersi: ma questo essere umano che ciascuno di noi è stato prima di uscire dal grembo di sua madre, può non essere una persona come noi?

D: Che cosa dire alla società che guarda ad una scienza che afferma che il pre embrione non è persona
umana e dall'altra parte una Chiesa Cattolica che ormai è etichettata sulla base delle sempre solite dichiarazioni in favore del rispetto della vita nascente?
P
rof. R. Colombo: La tesi del pre embrione, a ben vedere, non è una tesi scientifica che emerge dai dati obiettivi, dalla loro interpretazione secondo il metodo proprio delle scienze sperimentali. E una tesi che ha un carattere etico o giuridico, volta a concedere la manipolazione dell'embrione in virtù di una presunta differenza che esisterebbe tra i primi quattordici giorni e le successive settimane di sviluppo. Certo anche alcuni uomini di scienza l'hanno fatta propria questa posizione, ma non in nome dei dati scientifici, in nome del loro desiderio di poter sperimentare sull'embrione, di non avere remore o di non trovare intralci dal punto di vista della normatività deontologica o,giuridica. La Chiesa si affida alla scienza nella sua forma più pura, come capacità della ragione di aprirsi alla realtà, di riconoscerne la sua vera natura e fa appello anche alla libertà della scienza, di non essere prigioniera di pregiudizi, preconcetti, ma di saper scorgere nella natura il disegno sapiente di Dio e saper leggere attraverso i dati e le ricerche quel grandioso progetto che è l'essere umano fin dal suo concepimento.

D: Ma per i non credenti che non considerano la microscopertine/copica cellula iniziale come il risultato del disegno sapiente di Dio, è difficile affermare che lo zigote è già persona umana.
Prof. R. Colombo: La questione dell'embrione umano non è anzitutto una questione teologica. È una questione di ragione. È una questione che fa appello all'apertura della mente dell'uomo alla realtà, secondo tutti i suoi fattori. Se noi terremo conto di tutti i fattori dell'embrione, il fatto che si tratta di un embrione umano e quindi ha la natura razionale propria dell'uomo. Non abbiamo bisogno di invocare dogmi o di fare affermazioni apodittiche o perentorie. Dobbiamo solo osservare e lasciarci guidare da quello che la ragione e l'esperienza ci mostrano.

LETTURA CONSIGLIATA
Come si deve definire e valutare l'embrione umano? Questo interrogativo non può avere una risposta esauriente da una sola disciplina, ma necessita di singoli apporti provenienti da svariati ambiti di ricerca e di scambi ed integrazioni fra questi singoli apporti. "Identità e statuto dell'embrione umano" è un recentissimo volume edito dalla Libreria Editrice Vaticana (301 pagine, 32'000 lire) che riflette con un approccio multidisciplinare sul quando ha inizio la corporeità e la qualificazione del soggetto umano. II volume è scritto da più autori per mandato della Pontificia Accademia per la Vita, tra i quali troviamo J. Carrasco de Paula, R. Colombo, M. Cozzoli, L. Eusebi, J. Lafitte, S. Leone, R. Lucas, L. Melina, L. Palazzani, A. Pessina, E. Sgreccia.

 

Il convegno di studio organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita e dal Centro di Bioetica dell'Università del Sacro Cuore è stato aperto da un'introduzione del Arcivescovo di Milano S.Em.Card. Carlo Maria Martini. Riportiamo qui di seguito un'ampia parte del suo intervento.

"Se la Sacra Scrittura ci insegna che la vita umana è sacra in ogni momento della sua esistenza, essa non ci dice nulla a proposito di quale processo o momento segni fisicamente l'avvio di una nuova esistenza destinata a svilupparsi in un bambino e in un adulto. La biologia della riproduzione era sconosciuta all'autore sacro, così come tante nozioni riguardanti la morfologia e la fisiologia umana. Oggi le conoscenze scientifiche ci consentono di rispondere con maggiore certezza all'antica e sempre attuale domanda dell'uomo riguardante l'inizio della sua vita: Come ricorda l'enciclica Evangelium vitae (n. 60), "anche se la presenza di un'anima spirituale non può essere rilevata da nessun dato sperimentale, sono le stesse conclusioni della scienza sull'embrione umano a fornire un'indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?" Sull'inizio della vita umana individuale si sono sviluppati e tutt'ora, crescono dibattiti scientifici e filosofici, nei quali il Magistero della Chiesa non si è voluto espressamente impegnare; ma, al di là di essi, "la Chiesa ha sempre insegnato, e tuttora insegna, che al frutto della generazione umana, dal primo momento della sua esistenza, va garantito il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all'essere umano nella sua totalità é unità corporale e spirituale (Evangelium vitae, 60). Questa sua certezza trova oggi conferma nella considerazione del ruolo del genoma umano come l'elemento strutturante e costruttivo del corpo nelle sue caratteristiche, sia individuale che ereditarie, e nella perenne attualità di una concezione unitaria sostanziale dell'uomo che non separa arbitrariamente l'anima dal corpo. Come ha ricordato all'inizio di quest'anno Giovanni Paolo II ai membri della Pontificia Accademia per la Vita, riuniti a Roma per la loro Assemblea Generale, il genoma umano "segna e condiziona l'appartenenza alla specie umana, il legame ereditario e le note biologiche è somatiche dell'individualità. La sua influenza nella struttura dell'essere corporeo è determinante dal primo albore del concepimento fino alla morte naturale. È in base a questa interna verità del genoma, già presente nel momento della procreazione in cui i patrimoni genetici del padre e della madre si uniscono che la Chiesa s'è assunta il compito di difendere la dignità umana di ogni individuo fin dal primo suo sorgere. L'approfondimento antropologico, infatti, porta a riconoscere che, in forza dell'unità sostanziale del corpo con lo spirito, il genoma umano non ha soltanto un significato biologico; esso è portatore di una dignità antropologica, che ha il suo fondamento nell'anima spirituale che lo pervade e lo vivifica" (Discorso di Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia per la Vita, 24 febbraio 1998).

Per parte mia vorrei sottolineare come tutto questo abbia dei risvolti molto importanti in riferimento a diverse problematiche connesse con la bioetica. In particolare, nessun desiderio umano, anche tra i più alti, nobili e degni di essere portati a compimento come quello degli sposi che vogliono generare un figlio, e nessuna impresa della scienza e della medicina, per quanto volta a vincere una condizione di malattia e di sofferenza come quella causata dalla, sterilità di copertine/coppia, potrà mai giustificare il deliberato sacrificio di esseri umani all'inizio della loro esistenza, nei primissimi giorni del loro sviluppo embrionale. Il compito di accogliere, custodire e servire la vita umana riguarda tutti e deve manifestarsi precipuamente verso la vita che si trova nelle condizioni di maggiore debolezza e priva di capacità di difesa naturale. Anche ogni discriminazione posta in atto nei confronti dell'embrione umano attraverso la pre determinazione del sesso o di altri caratteri somatici, la manipolazione del genoma, la diagnosi e selezione pre impianto, la crioconservazione e la sperimentazione; rappresenta una forma di disconoscimento della fondamentale uguaglianza di ogni essere umano ed apre la strada ad un potere dell'uomo sull'uomo, che viola l'altissima dignità che lo stesso Creatore ha voluto imprimere indelebilmente nell'uomo facendolo a sua immagine e somiglianza.
L'invito a rispettare l'essere umano "come una persona" fin dal momento del suo concepimento (Donum vitae n. 79), riveste certamente una rilevanza etica specifica. Esso rappresenta altresì un appello alla libertà di ciascuno: un appello a rispettare, accogliere e amare "come noi stessi" chi già è "uno di noi".


"Nessuna impresa della scienza e della medicina, per quanto volta a vincere una condizione di malattia e di sofferenza, potrà mai giustificare il deliberato sacrificio di esseri umani all'inizio della loro esistenza."
[Card. C. M. Martini]